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Per dar ragione ad Ippocrate, o, per dir più veramente, al suo burlesco discepolo, che inventava di pianta, il ferito riaperse gli occhi e diede in un gemito.
— Ah, lo vedete? — soggiunse il Picchiasodo, con aria di trionfo. — State di buon animo, messere dell’archibugio. Levategli il farsetto; chiudete per bene le labbra della ferita; fasciatelo strettamente con questo pannilino; date un altro bicchiere al medico (grazie, mastro Bernardo; questo lo bevo alla salute di tutta la brigata), e sarà accomodata ogni cosa. Vediamo un po’, giovinotto; provatevi a respirare. —
Giacomo Pico, a cui erano rivolte le ultime parole del vecchio soldato, trasse un respiro senza troppa fatica.
— Lo dicevo io; non gli è nulla.... un buco che si stopperà facilmente! Io n’ho una mezza serqua seminati sulla pelle, e fo conto di tirare innanzi dell’altro. —
Frattanto messer Pietro, ricacciata la spada nel fodero, e dato un altro genovino all’ostiere, che non lo voleva a nissun patto, e che forse perciò, mentre si tirava indietro colla persona, sporgeva tuttavia la mano per prenderlo, si mosse alla volta del suo palafreno e fu in sella d’un balzo.
— È tardi, e dobbiamo guadagnare il tempo perduto; — diss’egli al Picchiasodo, che fu pronto a seguirlo.
Indi, accostando il cavallo alla panca su cui era adagiato Giacomo Pico, e fatto della mano un cortese saluto al suo avversario, gli disse:
— Messere, io vo’ aiutare al vostro risanamento,