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sellino in fin di mese, e quel suo riso tra beffardo e benevolo diceva chiaramente a tutti gli astanti: aspettate, or ora vedrete; il buono ha ancor da venire. Frattanto, per non rimetter nulla de’ suoi godimenti, venia centellando il suo bicchiere di malvasia, e attraverso alla sottil parete di vetro i suoi occhi si godevano, anzi meglio, si succiavano quella scena deliziosa, che facea sudar freddo il Sangonetto e tremar le gambe e battere i denti a mastro Bernardo.
— Poveri a noi! — gli andava dicendo l’ostiere. — Che ne dirà il marchese?
— Che vuoi ci abbia egli a ridire? — soggiunse il Picchiasodo. — La ragazza, piuttosto, se ama quel tuo bell’arnese; poichè egli mi pare un uomo spacciato.
— Ah, messere, e potreste crederlo? Madonna Nicolosina?... Nemmen per sogno! Se ella avesse pensato mai a quel pazzo da catena, io, non fo per dire, avrei a saperne qualcosa. Mia moglie è zia della Gilda.... e per la Gilda non ci sono segreti. Vi giuro, messere, e voi ci potreste mettere la mano sul fuoco, che la fanciulla pensa a messer Giacomino, com’io a farmi frate, e le son tutte fisime che s’è messe in capo costui.
— Tu mi consoli; — rispose gravemente il Picchiasodo; — perchè infine, dico io, quando si prende moglie, bisogna avere un occhio al cane e l’altro alla macchia. Menar donna non gli è mica come a fallar la strada, che c’è sempre il rimedio di tornarsene indietro; una volta fatto il pateracchio, addio fave! chi le ha, son sue. Or dunque tu credi che madonna Nicolina.... come la chiami?