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che s’erano a tutta prima aggrondate; fe’ un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo, che egli colla coda dell’occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:
— Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son tutto orecchi ad udirvi. —
Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa. Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui due piedi, senza aver meditata la possibilità d’una conversazione tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non averci pensato prima, uscì in questa dimanda:
— Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere di trattenervi? —
Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.
— Che dite mai? — ripigliò, col medesimo accento di prima. — È luogo stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.
— Ah! — sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia, — E quando si faranno le nozze? —
Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.
— Messere, — disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo riso, — la notizia si è sparsa, non c’è più verso di tenerla celata. L’oste dell’Altino ha cantato. —