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da venire e poteva anche restarsi per via; laddove la guerra soprastava al Finaro, e quella lì non c’era speranza pur troppo di allontanarla, nè sarebbe tornato a guadagno il tenerla in sospeso.
Ma, per tornare a Giacomo Pico, che le centomila necessità del racconto mi fanno ogni tanto lasciare in disparte, è da stringere in poche parole che egli aveva sollecitamente adempiute, in quel modo che poi si dirà, le incombenze a lui date, ed era di ritorno al Finaro due settimane dopo la sua partenza, e proprio in quel giorno 26 novembre dell’anno 1447. Il cuore gli battea forte nello avvicinarsi al castello. Aveva veduto per pochi istanti Nicolosina, e gli era parsa un’altra donna. Effetto naturale delle lontananze, anche brevi, da chi siamo usi vedere ogni giorno, che ci si sente subito come stranieri alla casa. E perchè poi? Perchè eravamo avvezzi a sapere ogni più lieve atto, ogni più riposto pensamento dei nostri famigliari, e la fragil catena di tutti quei preziosi nonnulla si è malamente spezzata.
Per altro, egli non era il momento di trattenersi su quelle frasche. Mandò giù la ingrata sensazione di quel primo incontro con lei; la ebbe anzi per una fisima del suo cervello ammalato, e si presentò al marchese, per dargli ragguaglio della sua legazione. Tra le altre cose, narrò come il figlio di Marco niente avesse ottenuto dai Fregosi, e nemmanco fosse tornato da Genova; donde per avventura, si poteva conchiudere che le speranze d’un accordo non fossero tuttavia dileguate.
Ma intorno a ciò il marchese Galeotto non istava più in forse e ben sapeva che cosa pensarne, cioè che