Pagina:Barrili - Castel Gavone.djvu/44


— 33 —

dell’Appennino; e i parenti a ridere, a compiacersi di quelle tenerezze, in cui non pure vedevano, ma eziandio caldeggiavano una testimonianza del loro animo grato e del loro affetto paterno per lui.

Senonchè, un giorno (e’ doveva pur giungere!) la fanciulla non gli era più corsa incontro come soleva; non gli si era gettata al collo, non lo aveva più baciato; nemmanco gli aveva profferta con soave atto la fronte, come usava co’ suoi genitori. Lo aveva in quella vece accolto con una certa gravità impacciata, che la faceva due cotanti più bella; lo aveva salutato con un «buon dì, messer Giacomo» profferito a mezza voce, ed aveva arrossito dal sommo della fronte fino alla radice del collo.

Ed egli si era inchinato, come solea fare colla madre di lei; nè aveva trovato cosa a ridire intorno alla novità delle sue accoglienze; ma quel riguardoso saluto e quel rossore, che tradiva i casti segreti della pubertà nascente, gli avevano recato arcane commozioni nel sangue, dischiuso un mondo ignoto allo spirito.

Da quel giorno aveva pensato; più del bisognevole e del ragionevole aveva pensato al nuovo aspetto di quella fanciulla, de’ cui baci infantili erano calde tuttavia le sue guance. E una gran sete di quei baci improvvisamente cessati gli riardeva le labbra. Ma non erano più i baci della fanciulla, non erano più i casti baci fraterni, che egli ripensava in quel punto.

Da quel giorno si fece più grave; da quel giorno il suo volto, gli atti, i pensieri, i modi del suo vivere, assunsero quel non so che di bizzarro e di fantastico, donde la gente volgare toglieva indizio di al-