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chiarivano un uomo d’armi, per allora fuor di servizio, ma non al tutto fuori d’arnese.

Il suo nome era Giacomo Pico, figliuol d’Antonio, della terra di Bardineto. Lo si chiamava dimesticamente messer Giacomino, sendo egli venuto in tenera età alla corte del Marchese; ancora lo dicevano il Bardineto, senz’altro, dal suo luogo natale, posto a forse dodici miglia di là, in mezzo ai monti, presso le scaturigini del Bormida. Bardineto apparteneva ai signori Del Carretto, e ad essi molto affezionata era la famiglia dei Pico; singolarmente caro a Galeotto il loro ultimo rampollo, che dapprima eragli stato donzello, indi compagno nelle aspre fatiche di guerra e salvator della vita. Però Galeotto lo teneva sempre al suo fianco, più amico assai che vassallo, e lo adoperava in ogni faccenda che richiedesse fedeltà e segretezza a tutta prova.

Ragioni queste perchè mastro Bernardo avesse a fargli servitù. Ma, oltrechè non gli sapea menar buono quel suo fare fantastico e il non essersi mai seduto davanti a’ suoi fiaschi, quel giorno a mastro Bernardo pareva di aver piantato l’insegna accanto a più gran personaggio che non fosse messer Giacomo Pico.

Epperò, mentre questi, vedutolo entrare in cucina, si muoveva ansioso verso di lui, quel vanaglorioso d’un oste gli fece a mala pena di berretta.

— Ve ne prego messer Giacomino, spicciatevi; — soggiunse egli tosto, dopo quell’atto un po’ sbrigativo; — ho da offrire il bicchier della staffa a due cavalieri.

— Erano da te! — sclamò il Bardineto. — Ed io che li cerco da un’ora!....

— Eh, eh, capisco; — ripigliò mastro Bernardo,