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del murello, e pareva volesse dare un’ultima occhiata al paese. Picchiasodo, da uomo più materiale, era ancora al suo posto, e mostrava cogli atti di voler vedere il fondo all’orciuolo del vino.

— Scusate, messere; — disse mastro Bernardo, avvicinandosi a lui; — il nome del vostro compagno?

— Perchè? — dimandò il Picchiasodo, inarcando le ciglia.

— L’ho sulla punta della lingua; — proseguì mastro Bernardo, senza badare al piglio scontento di quell’altro. — Vedete, messere; sono un povero diavolo d’oste, ma ci ho entratura al castello. Mia moglie è sorella della madre di Gilda, la cameriera di madonna Bannina, e il nome dello sposo io l’ho risaputo. Ca.... Casche.... Aiutatemi a dire!

— Casche.... — ripetè il Picchiasodo, per contentarlo.

— Sicuro, Casche.... Ma se non mi date voi una mano...

— Ti cascherà l’asino, lo capisco.

— Ah, bravo! Cascherà.... Ci sono; Cascherano, Grazie tante! Messer lo conte di Cascherano, — soggiunse allora mastro Bernardo, volgendosi a messer Pietro e sprofondandosi fino a terra, — la grazia vostra!

— Per chi vi piglia costui? — chiese il Picchiasodo a messer Pietro, mentre quell’altro si allontanava.

— Lascialo dire; — rispose messer Pietro. — Egli è venuto quassù per farci cantare, ed ha cantato lui per tutti, il baggèo! —