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Borgo, si recò in Francia e vi rimase a lungo, pigliando parte, da quel valentuomo ch’egli era, alle guerre di quel reame. Colà, in una pugna navale sulle coste di Bretagna, un colpo di bombarda ebbe a sconciargli un braccio per modo, che indi a non molto dovette morirne, ma colla consolazione d’aver riveduto il fratello Giovanni, uscito finalmente dalle prigioni di Genova.

Chi vuol saperne di più, intorno a questi due personaggi, faccia capo ai Filelfo e si misuri col suo latino indiavolato. Leggerà eziandio come Giovanni, aiutato dalle soldatesche dei cugini, da quelle de’ suoi aderenti e infine dai soccorsi di Francia, ripigliasse più tardi il marchesato ai genovesi e desse opera a rifabbricare la città ed il castello Gavone.

Egli e i suoi discendenti godettero senza disturbo (poichè Genova, straziata dalle fazioni, aveva altro che fare) il loro marchesato insieme co’ feudi di Stellanello in val d’Andora, di Calizzano in val di Bormida grande, di Massimino sul Tanaro, di Bormida, Pallare e Carcare sulla Bormida d’Acqui. Senonchè (vedete, egli c’è un senonchè!) un Alfonso II, o degenere da’ suoi maggiori, o rifattosi per cagion d’atavismo alle costumanze dei più antichi tra loro, uscì in ogni maniera di prepotenze e di colpe. Dura infame la memoria di lui nella terra, ed io mi dispenso dal ripetere tutto ciò che di lui si racconta. Basti il sapere che fattosi senza licenza sua un matrimonio nel borgo, andò furibondo a turbare la serenità d’un convito nuziale e afferrata la sposa per le trecce, la tolse sull’arcione e la portò via a galoppo in castello. Narrasi altresì che usasse cavalcare a diporto verso la Marina, e di là fino a Pia,