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— Si domanda? Avrei dato fuoco alla baracca ed al campo; — rispose il Picchiasodo alzando la spalle e facendo cipiglio, per nascondere un sorriso che gli spuntava già sotto i baffi. — Dal resto, — aggiunse, — siccome io non ero ne’ tuoi panni, ieri, non vorrei esserci oggi per tutto l’oro del mondo.

— Già, capisco; — borbottò il Maso; — puzzano d’impiccato un miglio lontano.

— Torniamo a noi, — ripigliò il Picchiasodo, — e sbrighiamo anzitutto quell’altro.

— Messere, — disse il Falamonica sottovoce al padrone, — sapete che la bombarda è carica.

— Eh lo so, bighellone! Prima si manda la nespola al Borgo, e poi metteremo dentro costui. Messere dell’archibugio, — soggiunse il Picchiasodo, volgendosi al Sangonetto con una celia da camposanto, — o quanto non era meglio per voi che vi foste fatto vivo con me, laggiù, all’osteria dell’Altino? Ma già, — proseguì borbottando, — se voi foste stato un uomo di polso, non vi sareste macchiato di tradimento e d’infamia. Animo, a te, bombardiere! Avanti l’uncino, e fuoco! —

Il bombardiere obbedì, togliendo l’uncino arroventato dal braciere e accostandolo al focone. Seguì un lampo e insieme col lampo un fragore, uno schianto, come di folgore, che intronò le orecchie di tutti gli astanti e a qualcheduno fe’ peggio. La palla era uscita, ma in pari tempo era andata in frantumi la canna. La signora Ninetta, la povera signora Ninetta, amore e delizia di Anselmo Campora, era andata dove vanno tutte le cose vecchie, e talvolta anco le giovani; e ben se ne avvide il suo cavalier servente, quando fu