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sulla spianata Tommaso Sangonetto, il prode Sangonetto, bianco il volto come un cencio lavato, e già più morto che vivo.

— Messer Pietro mi ha posto un bel carico sulle braccia! — borbottò il Campora, vedendo giungere quel disgraziato. — Che vi pare, amico Giovanni? S’ha proprio a caricarne la bombarda, di quel batuffolo di stracci?

— Perdio! — rispose Giovanni di Trezzo. — Fate come v’aggrada, Anselmo, poichè il capitano generale v’ha lasciato in governo il panno e le forbici. Ma io domanderò a voi che cosa si è sempre fatto delle spie, dei disertori e dei furfanti pari a costui. Per me, ve lo dico schietto; se fossi il mastro de’ bombardieri, vorrei risparmiare una palla.

— E sia; — ripigliò il Picchiasodo. — a voi dunque, signora Ninetta; preparatevi a ricevere in casa un briccone. —

Il Sangonetto, come i lettori possono figurarsi, guatava con occhio smarrito ora il Picchiasodo ora Giovanni di Trezzo, e ansimava, sudava freddo e tremava; sopratutto tremava e gli battevano i denti, e gli si piegavano le ginocchia. I soldati, più assai che tenerlo stretto nelle ugne, dovevano reggerlo sotto le ascelle, che non avesse a cascare da senno, come un batuffolo di stracci.

In quel mentre, il Falamonica si messe a gridare.

— Ah, cane! eccolo là!

— Chi? — domandò il Picchiasodo.

— Vedete, messere; il vostro cucco, il vostro prediletto, il mariuolo che m’ha gettato nel pozzo. —

Colui che il Falamonica segnava a dito, era per