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— Ohè! che cos’è questo ch’io sento? — diceva intanto il Picchiasodo a Tommaso Sangonetto. — Ma tu tremi a verga, furfante!
— Fate cercare quest’uomo! — gridò una voce imperiosa dal fondo, che fece dare indietro i soldati e lo stesso comandante, per modo che il passo fu subito sgomberato. — Madonna, — proseguì allora colui che aveva parlato in tal guisa, nell’atto che s’inoltrava verso la contessa d’Osasco, — vogliate condonare la poca vigilanza nostra ad un’ora di trambusto. Non sarà mai detto che l’esercito comandato da Pietro di Campo Fregoso sia contaminato da cosiffatte ribalderie. I miei soldati hanno ordini severi e consuetudini oneste di pugna. Ora, se il capitano si giova di tutti gli spedienti e accoglie ogni servizio che lo conduca più prontamente al suo fine, egli non può altrimenti sottrarre ad un castigo esemplare chi commette la viltà di oltraggiare una donna. Contessa d’Osasco, il vostro offensore sarà giudicato domani.
— O stamani, — mormorò il Picchiasodo, — perchè oramai si può cantar mattutino. —
Il Sangonetto faceva in quel mentre un passo indietro, sperando di mettersi lontano dal tiro e di darla a gambe non visto. Ma il Picchiasodo ci aveva gli occhi nella collottola.
— Ehi, dico, non mi dare la volta! Qua, mal arnese, e sentimi questo po’ di tanaglia. A voi, dopo tutto; non cercate più altro, ecco l’uomo! —
Da questo breve discorso il savio lettore argomenterà i gesti del Campora, che io non mi fermo a descrivere. E nemmanco mi dilungherò a raccontare come il Sangonetto, tirato a forza davanti a madonna