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po’ di riguardo, imperocchè lassù dimorava il grosso della famiglia, donne, la più parte, e innocuo servidorame, andò Giovanni di Trezzo in persona, col fiore de’ suoi.
In mal punto fu visto allora da Anselmo Campora il nostro prode Tommaso Sangonetto, che si era poc’anzi imbrancato tra i combattenti.
— Animo, a voi, Sangonetto, che conoscete il castello; insegnate la strada. —
Tommaso Sangonetto s’augurò in quell’ora d’essere almeno quattro palmi sotterra. Pure, gli bisognò fare di necessità virtù, e si mosse cogli altri verso le scale.
— Che diamine avete? — gli domandò il Picchiasodo, che nella allegrezza della vittoria avea preso a trattarlo più dimesticamente, e saliva con esso lui, appoggiandogli la sua larga mano sulle spalle. — Non mi sembrate troppo saldo sulle gambe.
— Io? che, vi pare? sono un po’ scombussolato; — balbettò il Sangonetto. — Capirete bene.... in un momento come questo!... Neppur io m’aspettavo che la dovesse andar così liscia.
— Eh, non dico di no. Del resto, ci avete dato un buon colpo d’aiuto, e non dubitate; messer Pietro Fregoso vi compenserà a misura di carbone. —
Il dialogo dei due amiconi fu interrotto da un cozzo improvviso di spade là in alto. Mastro Bernardo ne faceva delle sue. Inviperito da tante disgrazie, ed anche un po’ riscaldato, innalzato dalle circostanze a’ suoi occhi medesimi, l’ostiere soldato menava colpi a dritta e a manca, sull’ingresso dell’appartamento di madonna Nicolosina, a cui i nemici, guidati dal chiarore dei doppieri, si erano allora rivolti.