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per afferrare una finestra del primo piano non ne occorreva che una. Su dunque; egli al secondo, con pochi seguaci; il rimanente della compagnia, sotto il comando del Cappa, si sarebbe introdotto da quella finestra nel primo.

Era questa, nello spazio di pochi minuti, la seconda alzata d’ingegno di mastro Bernardo; ma ohimè, non così felice come la prima, epperò (s’ha da metterlo in sodo, quantunque a malincuore) meno degna del ricordo dei posteri. A scusa di mastro Bernardo non va dimenticato, per altro, che questa è la sorte di tutte le umane intraprese; chi fa falla, dice il proverbio, e non tutte le ciambelle riescono col buco.

Lasciamo il Cappa col grosso della compagnia, e seguitiamo mastro Bernardo. Egli giunse, colla sua spada appesa sugli òmeri, all’altezza della finestra di Gilda, proprio nel punto che si spegneva la lampada. Egli stesso la udì rompersi sul pavimento ed ebbe ancora il tempo di scorgere attraverso i vetri un’ombra nera, che si scagliava verso il fondo della camera. Afferrare la colonna che partiva in due la finestra, sfondare d’un pugno vigoroso la vetrata, urtar di spalle e rovesciarsi dentro, insieme colla imposta atterrata, fu un punto. Nicolosina n’ebbe animo e lena a respingere il suo assalitore; e il prode Tommaso, capito in di grosso che quello non era più luogo per lui, ebbe a mala pena il tempo di darla a gambe per l’uscio; e non baciò nemmanco la toppa.

Mastro Bernardo alzatosi appena sulle ginocchia, e notato con grande soddisfazione di non essersi levato di sesto, si diede in quelle tenebre a chiamar la ni-