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alla sua volontà. Eppure, a tanto era giunta costei; e Giacomo Pico, nella incertezza in cui l’avea posto l’atto audace e repentino, cercava inutilmente il modo di romper gl’indugi, senza macchiarsi in un’altra viltà, percuotendo una donna.

Ad un tratto, parve ricordarsi di qualche cosa. Il pensiero doveva tornargli molesto oltremodo, poichè egli si cacciò a furia le mani nei capegli e mise un urlo disperato.

— Maledizione! Sai tu che fai ora? — gridò, avventandosi all’uscio e scuotendolo vigorosamente.

— Salvo la mia padrona! — rispose la Gilda, notando l’inutile sforzo di lui.

— No, per la tua dannazione, tu non la salvi; — ruggì il furibondo. — Tu fai un regalo a Tommaso Sangonetto. Ma se tu credi che questo serrame possa arrestarmi.... —

E smesso di urtare nell’uscio, Giacomo Pico ficcò le dita tra il catenaccio e la parete, cercando di schiantare la staffa piantata nel muro.

— Un regalo!.... al Sangonetto!.... — ripetè macchinalmente la Gilda. — Che hai detto Giacomo? Dov’è il Sangonetto?

— Nella tua camera, perdio! — urlò Giacomo Pico. — Hai inteso ora?

E proseguiva, così dicendo, a trarre il catenaccio con tutta la forza delle sue dita ripiegate ad uncino.

— Nella mia camera!.... lui!.... — sclamò la povera donna, a cui quelle parole mostravano una verità a gran pezza più triste che ella non avesse potuto immaginare da prima. — Ah vile, tre volte vile!