Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 282 — |
vedeva dinanzi l’immagine di Giacomo Pico, del suo fiero amatore, non più ginocchioni, in atto supplichevole, bensì ritto e minaccioso su lei, prostrata, abbandonata, senza schermo e senza forza, a’ suoi piedi.
Quella orrenda visione la comprese di spavento ineffabile. Entrando nella camera, aveva chiuso l’uscio dietro di sè. Ma questa difesa non poteva bastarle. Nicolosina corse allora a gittarsi sull’inginocchiatoio, e là, a mani giunte, lacrimosa, con rotti accenti, pregò, supplicò la vergine Maria, tutti i santi del paradiso, per suo padre, per sua madre, per sè. Pur troppo non era da aspettarsi più nulla dagli uomini; se una speranza di salute restava, questa non le appariva più che dal cielo.
Un passo concitato risuonò allora nel corridoio. Il nemico procedeva nelle tenebre, ma pronto e sicuro, come uomo che conosceva la via. Non era un genovese, di certo; lui, dunque, lui? La povera donna levò le braccia verso l’immagine di Maria; raccomandò, non più la sua vita, l’onor suo, a quella donna che in suo vivente aveva tanto sofferto. Se Dio accoglie la preghiera, sotto qualunque nome gli sia rivolta da creature infelici, per fermo doveva udir quella.
Ma invano ella pregava. Un urto poderoso schiantò il serrame che riteneva l’uscio alla parete. Il vento che s’ingolfò nella camera avvertì la povera donna che ogni sua speranza era perduta e che il nemico era giunto là dentro.
— Ah, ah! — disse una voce sarcastica. — La colombella s’è chiusa nel nido? —
Nicolosina fremette, si aggrappò colle mani e coi gomiti all’inginocchiatoio, come un naufrago alla sua tavola di salvezza.