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custodiva le cose sue; una scranna, uno specchio alla parete, una lampada sospesa, un letticciuolo, un inginocchiatoio, su cui stava un picciol vaso di maiolica, con entro un mazzolino di fiori, davanti ad un trittico d’avorio, nella cui tavoletta di mezzo era dipinta la Vergine, e sulle altre due santa Caterina e san Biagio, patroni del Borgo. Una volta (e non era corso gran tempo) in quel vaso erano i fiori freschi ogni dì, anche nel cuor dell’inverno; chè ogni stagione, in questi lidi benedetti dal cielo, ne porta. Ma, da parecchie settimane, quel culto gentile era stato posto in oblìo, nè più i fiori erano stati cambiati dinanzi alle immagini dei santi. Sfioriva nel rimorso e nel dubbio la povera Gilda; diseccavano i vecchi fiori dimenticati nel vaso.
Il primo pensiero di Nicolosina fu di aprir la finestra e di spenzolare allo ingiù la lunga e salda appiccatura di lenzuola che avea preparata la Gilda. Il vento soffiava e i suoi buffi gelati entravano pel vano della finestra, facendo tremolare la fiamma nella lampada sospesa. Ma ella non se ne addiede, che in quello stremo d’angoscia niente più poteva ferirla. Gridò, chiamando i finarini, che dovevano essere in quell’ora appiattati nella macchia delle roveri: ma, o non l’udissero costoro, o ancora non fossero giunti, o la voce loro non vincesse le folate del vento, la povera Nicolosina non ottenne risposta al suo grido.
Incominciò allora a tremare. Il fragore dei nemici cresceva nel piano inferiore del castello. Già saliano le scale. Non parevano molti; erano due al più, i primi accorrenti; ma uno solo bastava ad atterrirla, a gelarle il sangue nelle vene. La misera donna già si