Pagina:Barrili - Castel Gavone.djvu/287


— 276 —

E pigliando le sue misure così a occhio e croce, l’animoso scudiere spiccò il salto dalla parte opposta a quella donde aveva udito la voce del suo signore.

Agile e forte com’era, fu a terra senza farsi alcun male, e corse tosto in aiuto del marchese.

— Orbene? — gridò ansiosa madonna Bannina dal davanzale.

— State di buon animo, madonna. Qualche scalfittura, a cagione degli sterpi, e nient’altro.

— Ah, sia lodato il Signore! Andate dunque. Essi giungono. —

E toltasi dalla finestra, la nobil donna corse nella sua camera, dove stette in attesa.

Frattanto i nemici, giunti all’appartamento del marchese, tempestavano l’uscio di colpi. A breve andare le imposte volarono in pezzi, fu rotta la sbarra che ci avea posta a ritegno lo scudiero, e Giovanni di Trezzo fu il primo a dar dentro, colla spada sguainata. Dietro a lui una frotta di uomini, le cui facce iraconde e le armi erano sinistramente illuminate dalla torbida fiamma di alcune torce a pugno, intrise di pece.

Giunto che fu nella camera, e veduta la marchesana del Carretto, che si alzava con piglio austero dal suo seggiolone per muovergli incontro, Giovanni di Trezzo si fermò sui due piedi, tolse la spada nella mano manca sotto l’impugnatura, e, mentre inchinava la fronte, stese la mano in atto di cortese saluto.

La marchesa rispose con un cenno del capo.

— Che chiedete, messere? — diss’ella poscia, con accento tranquillo.

— Potete argomentarlo, illustre signora; — rispose