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vostri uomini alle spalle del castello, là, dietro la torre della Polvere. Io stesso, appena entrato, andrò ad aprir loro la postierla.
— Sì, sì, non dubitate, compare! — gli rispose Giovanni di Trezzo. — Io salirò con voi e v’accompagnerò io stesso alla porta. Ma prima di tutto, aspettate; vo’ fare un po’ di rumore.
— Perchè?
— Il perchè va lo dico subito, A Venezia, dove ho servito qualche anno, ci ho imparato una gran massima, che credo l’abbiano trovata in Grecia, nella tomba dei sette Sapienti. «Da chi mi fido mi guardi Iddio; da chi non mi fido mi guarderò io.» Ora, vedete, messer Pico; io non vo’ dar molestie a nostro Signore, e non mi fido mai di nessuno. —
Così dicendo, l’astuto condottiero col pomo della spada venia battendo sui muri del castello. Nessun rumore di dentro accennò che il suono dell’arme fosse stato udito dagli abitatori del luogo. Del resto, a quell’ora, null’altro si sarebbe potuto udire che il mugghio continuo del vento nelle gole e il baturlo del tuono sulle montagne vicine.
— Sta bene; ed ora insegnatemi la strada; — disse Giovanni di Trezzo.
Il Bardineto ascese prontamente la scala; Giovanni, presa la spada tra i denti, gli venne alle calcagna.
Frattanto un’altra scala era rizzata poco lunge da Tommaso Sangonetto. I suoi capi poggiavano sul davanzale di una finestra, che Giacomo Pico doveva aprirgli, a mala pena entrato nel castello.
L’ascensione fu compiuta senza ostacoli. Dietro al