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— Sì mio vecchio compare; perchè il cuore mi promette bene di questo negozio; perchè sono in vena d’allegria. Ah, credi tu che, dopo un anno di sopraccapi, di molestie d’ogni fatta, io non debba veder di buon occhio questa congiuntura propizia? E poichè la si profferisce a noi, e noi la cogliamo, non dovrei venirci io in persona, all’impresa, per ispingerla avanti, se c’è modo di venirne a capo, per rimetterla in sesto, se si fa un buco nell’acqua?

— È vero ciò che dite; — rispose il Picchiasodo; — ma dopo tutto, il vostro risico...

— Che! — sclamò messer Pietro, scuotendo alteramente la testa. — Ci ho la mia stella. Non ti rammenti di Gavi? Eppure, se non me l’hai cantato e ricantato le mille volte: «messer Pierino, badate, noi ci faremo impiccare come tanti assassini di strada!» Il che non toglieva, — soggiunse messer Pietro ridendo, — che in ogni occasione tu fossi il primo a seguirmi e negli scontri picchiassi più sodo degli altri, come non tolse che io fossi restituito alla patria, reintegrato in tutti gli onori della mia casa e fatto capitano generale della repubblica. Statti dunque di buon animo, Anselmo, mio vecchio compagno; il ferro che mi ha da colpire non è ancora entrato in magona. —

A intendere per suo verso l’allusione di messer Pietro Fregoso, bisognerà ricordare che egli, cinque anni addietro, essendo la sua fazione sbandeggiata da Genova ed eletto doge Raffaele Adorno, era stato dichiarato ribelle contro la repubblica. E allora, ridottosi nella terra di Gavi, la quale aveva dianzi ottenuta dal duca Filippo Maria Visconti, messer Pierino