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sata, mastro Bernardo salì prontamente le scale, e scambio di fermarsi alla gran sala, in cui tenea corte e riceveva i suoi visitatori il marchese, proseguì fino al piano superiore, dove, poco lunge dalle stanze di madonna Nicolosina, era la cameretta della Gilda.

La bella nipote di mastra Bernardo appariva grandemente mutata da quella vispa e rosea fanciulla che i lettori hanno conosciuta nei primi capitoli di questo racconto. Una pallidezza estrema regnava su quel volto, i cui grati contorni s’erano fatti più severi e ricisi, come di statua; gli occhi scintillavano di luce più viva sotto l’arco delle ciglia, ma si vedevano altresì più infossati nelle orbite, se non per avventura dal piangere, certo da un’assidua cura che fosse venuta struggendo quella sua giovinezza beata. Era bella sempre; forse più di prima, per molti; ma non più come prima, e s’indovinava al solo vederla che il dolore era passato sul fronte della povera Gilda. Così l’ostro nemico, scaldato sulle arene dei deserti africani, brucia i teneri germogli delle piante, alidisce le splendide corolle dei fiori.

Quali fossero da parecchio tempo i pensieri di Gilda, il savio lettore ha già inteso. Si aggiunga a tante cagioni di tristezza, che ella aveva avuto pur dianzi la nuova della prigionia di Giacomo Pico.

— Anche tu, — le disse mastro Bernardo, vedendola in quello stato, — anche tu, mia povera ragazza, ti struggi di questi malanni che sono piombati su casa nostra? Brutti giorni, figliuola! E anch’io dovevo vederli a conforto della vecchiaia!

— Che farci, buon zio? Ci vorrà pazienza. Iddio è misericordioso, e quando avremo patito abbastanza...