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Vi giunse, distribuendo in giro un saluto di protezione alle scolte, e commise la sua gravità sul ponte levatoio che cavalcava il fosso, in cospetto di due barbacani, muniti di feritoie, che proteggevano la porta, sfondata nel muro di fronte, in mezzo a due delle quattro torri che già i lettori conoscono. Varcata la soglia e l’androne, dove gli parve che i suoi passi rimbombassero meglio di prima, entrò sotto la saracinesca, altra porta piombante che difendeva l’ingresso del castello, e finalmente pose il piede nelle scale, salutato da tutti i soldati di guardia, che lo conoscevano come un vecchio camerata, ma che dovevano (così gli bisbigliava la sua ambizione) vedere in lui un pezzo più grosso del solito.

Se lo avessero fermato, chiedendogli dove andava, oh come ci avrebbe avuto gusto a sfolgorarli con quattro parole: «porto gravi notizie al marchese!» Ma nossignori, quella zotica soldatesca non capiva una maledetta; lo vedeva passare accigliato e chiuso come una cornacchia di campanile, e non si attendeva di dargli l’assaggio.

Privo di quella consolazione, mastro Bernardo volle procacciarsene un’altra, andando a far pompa delle sue gravi notizie colla nipote. La cosa era del resto naturalissima, imperocchè, senza mettere in conto i riguardi dovuti alla Gilda, per cui intercessione aveva allogato la sua famigliola fra i servi del castello, il nostro messaggiero pensava di farsi introdurre dalla nipote presso il marchese Galeotto, col quale, come v’immaginate, non ci aveva tutta quella dimestichezza che aveva lasciato intendere al Maso.

Applaudendosi in cuor suo di quella profonda pen-