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E non importa il dire che si trattava piuttosto del marchese del Carretto e della sua discendenza; coteste distinzioni il Maso non la conosceva, e se le avesse conosciute, di certo le avrebbe lasciate ai curiali dei suo tempo, e ai politiconi di là da venire.
Ora, che doveva egli fare? Svignarsela dal campo nemico, per dar l’avviso nel Borgo? Questo era un punto difficile; ma il nostro giovinotto non ci vedeva niente d’impossibile. Ci avrebbe pensato, e al postutto, avrebbe tentato. Ma egli non poteva ancora pensarci; ma egli non sapeva ancor tutto. Aveva capito che nel Borgo c’era una fazione avversa ai signori del luogo e al proseguimento della guerra; aveva capito che il Sangonetto e lo Sturlino, il Marchelli e il Battaglia, il Giudice e il Valle, il Campi, il Cavazzola e il Bardineto, congiuravano per dare la terra ai genovesi. Ma ciò non bastava ancora. In che modo contavano essi di darla? Questo era il busilli; questo bisognava sapere; e per saper questo bisognava tornare laggiù contro l’assito della capanna, ad origliare la conversazione del Sangonetto col Campora.
Come venirne a capo? A tornar là, ci risicava la vita; e questo sarebbe stato il meno, per un ragazzo animoso com’egli, se, risicando la vita, non avesse anche risicato di non portare più niente all’orecchio degli assediati. Ci voleva dunque giudizio ed audacia, audacia e giudizio, due cose che tra gli uomini, come tra i popoli, sogliono andare così poco d’accordo.
Il Maso ci si provò. Quello che l’esperienza il più delle volte non dà, lo aspettava egli dalla fortuna. Era giovine, e la fortuna li ama, questi benedetti giovani. Suvvia, dunque; il Maso si tolse di dietro al