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faccia del Maso. — Non ti poteva per avventura andar peggio?

— Ah, non me ne fate ricordare! — esclamò il Maso, pensando al Tanaglino. — Questa è grazia di Dio, cucinata dal generalissimo dei cuochi.

— La nostra gloriosa repubblica ha di cotali valentuomini al suo servizio, — soggiunse gravemente Anselmo Campora, mettendosi a tavola. — Siedi, amicone. Domani sarai l’aiutante del mio cuoco; oggi sei il mio commensale. Lo hai meritato. Chi fa bene, abbia bene in questa vita e nell’altra. Tu m’hai portato il migliore della tua osteria, e Anselmo Campora non lo ha dimenticato. Bada a me, ragazzo; porta sempre del vino buono al nemico; verrà giorno che egli potrà ricambiartene. Assaggiami questo; è di Calice. Quest’anno lo abbiamo svinato noi altri.

— Pur troppo! — disse il Maso tra sè.

E mandò dalla tavola del nemico un pensiero alla patria.