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nina di garbo, e adesso bisognerà darle una secchiata d’acqua, per la sete. A proposito d’acqua, chi diavolo mi parlava dell’Altino?
— Son io, messere Anselmo; — si affrettò a rispondere il Maso; — sono io, il ragazzo dell’osteria.
— Ah sì, ora mi ricordo; — ripigliò il Campora; — «fermatevi all’Altino, c’è buona l’accoglienza e meglio il vino». E dimmi, per caso, non ne avresti portato un fiasco di quel buono? E’ sarebbe proprio la man di Dio.
— Gli è tutto andato, messere; — disse il Maso con aria contrita. — Ci avete conciati davvero per le feste.
— Necessità di guerra; che farci, ragazzo mio? Non dovevate pigliarla a dire con noi; — sentenziò il Picchiasodo, stringendo le spalle. — Ma via, questi non sono discorsi da fare con te. Come sei qua? Ah, perdinci, non ci avevo badato prima; tu se’ legato come un cane.
— Necessità di guerra; — disse di rimando il Maso; — e in verità, son capitato in certe mani....
— Capisco; — interruppe il buon capo dei bombardieri; — e tu ameresti ora cambiar di padrone. Andate, voi altri; — soggiunse poscia, voltandosi ai due balestrieri che accompagnavano il Maso; — questo prigioniero rimane con me. —
Il Maso diede una rifiatata di contentezza. Ma quei due non si muovevano ancora.
— Messere, — entrò a dire il Tanaglino, — la corda di balestra con cui è legato, mi appartiene.
— E tu levala!
— Levala! — ripetè il Maso, mettendo i polsi sotto il naso del suo aguzzino.