Pagina:Barrili - Castel Gavone.djvu/226


— 215 —

siglia su tre galere la condusse al Finaro. Lo sbarco era avvenuto felicemente il 24 giugno; donde al popolo parve di dover arguire una grazia particolare di san Giovanni Battista. I genovesi, per contro, che ci avevano nel loro Duomo le ceneri del santo e non potevano fargli il torto di credere che egli potesse sconoscere a quel modo gli obblighi dell’ospitalità, attribuirono la fortuna dei loro nemici ad un gagliardo vento di libeccio che non avea consentito alla Grimalda e alla Scarabina (due loro galee mandate ad impedire lo sbarco) di svoltare in tempo il capo di Noli. Chi avesse ragione non so; lascio la quistione in sospeso e tiro di lungo.

Seguirono per tutto l’autunno fazioni di poco rilievo; quella, tra l’altre, di Bonifazio Castagnola, che pigliò Calizzano e fe’ dire alla gente che, non potendo il cavallo, s’era dato a picchiare la sella. L’esercito genovese, scemato di alcune compagnie mercenarie, s’era accresciuto di certe altre ed avea preso in condotta Gaspare di Monte Brianzo e il famoso Pietro Torello, capitano lombardo, con cento e cinquanta cavalli. Intanto si ciarlava di pace, ma così, fiaccamente, senza scaldarcisi il sangue. I genovesi dovevano restituir Castelfranco e mandar libero senza riscatto il marchese Giovanni, cogli altri prigionieri fatti a Giustenice. Quanto al marchese Galeotto, egli non ci aveva a rimettere un bruscolo.

Questo almeno credeva, e non era de’ suoi errori il più grave; dovendosi avere per tale la speranza in lui nata e cresciuta che simili pratiche fossero fatte da senno. Ma egli s’era fondato sulla morte di Giano Fregoso, avvenuta in dicembre, dopo una malattia di