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Intanto messer Pietro, avuta sotto le mani la maggior parte
dell’esercito, ritornava su Gorra e, respinto il suo avversario, vi si
piantava più saldo che mai. Dolse del fatto a quei di Giustenice che
fino allora aveano sperato soccorsi, e che da due giorni, difettando
di pane, dovevano cibarsi di crusca. La quale eziandio venendo a
mancare, si arresero il 12 di aprile, e tosto, sotto buona scorta,
furono condotti alla Pietra e imbarcati per alla volta di Savona.
Pochi giorni di poi, una galera li portò fino a Genova, ove il doge
Giano Fregoso li voleva prigionieri per quindici giorni almeno; così
annullando i patti della resa, secondo i quali la valorosa schiera
avrebbe dovuto esser posta in libertà, con che promettesse di non
impugnare più oltre le armi contro Genova, per quanto tempo durasse la
guerra.
Colà, veduto il doge e uditone amare parole, a cui fieramente rispose, Giovanni Del Carretto fu chiuso cogli altri nelle carceri Grimaldine; donde passò con Giacomo suo cugino a meno squallida prigionia nel castello di Lerici. Lo sventurato Antonio e il resto dei difensori di Giustenice rimasero prigioni in Genova; e per gli uni e per gli altri non furono quindici dì, ma dieciotto mesi di carcere. Non bella cosa da parte di Giano; ma i tempi erano tali da consentirne di simiglianti, e di peggiori per giunta.