Pagina:Barrili - Castel Gavone.djvu/213


— 202 —

valorosissimo tra tutti i più famosi campioni del Finaro, e Galeotto avea detto un giorno alla presenza di tutta la sua corte che, se avesse avuto intorno a sè dodici uomini della prodezza di Giacomo Pico, non avrebbe dubitato di ragguagliare sè stesso a Carlomagno, tanto il buon esempio di dodici paladini avrebbe innalzato lui a sostenere quel gran paragone. I cavalieri francesi erano a dirittura innamorati di Messire Picot de Bardinette. In parecchi scontri aveva cavalcato con esso loro, e, per la nobil presenza in arcioni, come per la sua furia nel dar dentro ai nemici, s’era lasciati indietro i migliori. Da essi poi aveva imparato a non dar quartiere, e ammazzava i caduti, che gli era un gusto a vederlo. Gianni Fontaine, detto l’Abate, un giorno che Giacomo si era tratto ad onor suo da un manipolo di genovesi che gli si erano serrati ai fianchi e minacciavano di farlo a pezzi, lo battezzò (se il verbo è consentito in questa occasione) col nome di Picot le Diable. Donde gli altri cavalieri cavarono per conseguenza esser verissimo il proverbio che Dio li fa e poi li accompagna, veu qu’un Abbé estoit au mieulx avecque un Diable.

Il Cascherano, colla sua modesta prodezza, non raccomandata agli esaltamenti di amici chiassoni, che nel collega magnificavano in fin de’ conti sè stessi, il Cascherano, dico, era facilmente eclissato da questa gloria del Bardineto. Non si tornava da un affrontamento al castello, che non si levasse a cielo il valore, o qualche impresa singolare di Giacomo Pico. E lui umile, schivo, anzi scontroso senz’altro, a tirarsi in disparte, e, quanto più spesso poteva, a nascondersi. Modestia, forse? I lettori conoscono il Bardineto per