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dato in iscavezzoni, sotto i colpi bestiali d’una soldatesca, la quale non prevedeva di dover essere ancora in que’ luoghi alla stagione dei frutti.
Poveri a noi! griderà qualche lettore spaventato; siamo a mala pena in febbraio e dobbiamo ingoiarci tutti gli altri mesi per infino a settembre? Sissignori; ma badate, gli è come a sorbire un uovo fresco; l’autore è discreto e va per le spiccie; sicchè, non temete ch’egli intenda abusare della vostra pazienza, come fece Catilina coi Romani, se dobbiam credere a quella lingua tabàna di Marco Tullio dal Cece.
Per venir difilati alla storia, si dirà che in quel mezzo fu di ritorno al Finaro il bel conte di Osasco. Aveva egli veduto in Asti il balìvo di Trasnay e conduceva al marchese Galeotto i nuovi soccorsi di Francia che erano dugento lancie, sotto il comando di sere Gaulois, e colla giunta di due maravigliosi cavalieri di ventura, Ludovico Masson e Gianni Fontaine, di soprannome l’Abate.
Questi soldati forastieri fecero di belle imprese al Finaro e risollevarono alquanto gli spiriti abbattuti della difesa. Non si veniva già a capo di rompere il nemico, ma con audaci sortite lo si travagliava di continuo ne’ suoi ridotti e segnatamente si tornava molesti a que’ capitani, venuti in condotta nell’esercito genovese, i quali erano avvezzi alle guerre senza troppo spargimento di sangue. Feroci in battaglia erano a que’ tempi i francesi, e ciò forse perchè inaspriti in quella giostra spietata, che da tanti anni avevano sostenuta in casa loro, contro l’armi invaditrici d’Inghilterra. Laonde, mentre i condottieri italiani si contentavano di balzare d’arcioni il nemico,