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fracassando il vasellame e mandando ogni cosa sossopra.
Parecchi dei commensali balzarono in piedi dallo spavento, e taluno di essi con qualche ammaccatura per giunta.
— State, messeri, in nome di Dio! — gridò Barnaba Adorno. — La giuggiola di Paolo è toccata alla nostra mensa; ma altro di peggio non può fare oramai. —
— Raccattiamo almeno qualcosa! — disse Paolo, chinandosi a terra, dov’erano sparpagliati tra i cocci gli avanzi della cena interrotta. — Ecco giusto uno spicchio di pollo, che non me lo mandano più a male i Fregosi, che il malanno li colga!
— Amen, cominciando da Giano! — soggiunse lo zio.
E la cosa finì in ridere, senz’altro danno per la nobile brigata che quello di avere abbreviata la cena.
Intanto, più durava l’assedio, e più grande era il guasto, non solamente nel Borgo, ma eziandio nelle campagne circostanti. I soldati del Fregoso, segnatamente i non genovesi (che i genovesi furono sempre buoni massai, e la roba altrui, quando si studiavano di averla, trattavano già come fosse la loro) i soldati, dico, rompevano, tagliavano, mettevano in pezzi, davano lo spianto a ogni cosa. Se mastro Bernardo avesse potuto dare una sbirciata all’Altino, altro che botti sfondate! Avrebbe visto il suo pergolato in terra, gli anguillari divelti e il suo bel fico brigiotto, onore dell’orto, quel maestoso fico dond’egli spiccava ogni anno cinquecento dozzine di fichi prelibati, polputi e maiuscoli, pietosi a vedere per la buccia screpolata e per la lagrima all’occhio, quel nobilissimo fico an-