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La fanciulla diede una rapida occhiata al suo braccio, che a tutta prima avea ritirato, per tema non volesse egli riafferrare il pugnale, e vide grondar sangue dal cavo della mano sul polso.
— Che importa? — diss’ella, sorridendo.
E innanzi di ridargli la mano, gittò il pugnale lungi da sè.
Ella era bella così, nel suo piantoriso, come un lieto raggio di sole attraverso le nuvole, nell’aria ancor madida degli ultimi spruzzi del nembo. Era bella nel gaudio della sua vittoria, nel sublime conforto di aver salva la vita di Giacomo, di aver veduto nel suo disperato proposito una certa testimonianza d’amore e di avergliene dato un’altra a sua volta nell’ardimento con cui ella, timida fanciulla, rifuggente dal lucicchìo delle armi, gli aveva strappato il pugnale, insanguinando in quella lotta le sue povere mani.
Ogni altr’uomo si sarebbe commosso e avrebbe rispettata quella celeste innocenza. Non così Giacomo Pico, anima bieca, indole travolta dalle sue matte ambizioni, cuore inasprito dall’odio, nè più disposto a vedere quel che ci fosse di buono o di santo dintorno a lui, se non per farne pascolo e stromento a’ suoi tristi furori.
Prese la mano della giovinetta e osservò la ferita. Vedevasi attraverso il sangue sparso una scalfittura pel largo della palma, e appariva essere stata fatta dallo scorrere della lama lungo le carni invano ristrette per trattenerla.
Prese quella mano, dico, la osservò un tratto, indi con moto rapidissimo se la recò alle labbra, suggendo avidamente quel sangue.