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— Peccato! — diss’egli nel ritorno a Giacomo Pico, e così ad alta voce che il marchese Galeotto lo udisse. — Una così bella occasione fallita, e per la balordaggine di due, o tre, venuti a romper l’ova in sull’uscio! Ero già a due braccia dai merli, quando quegli arfasatti m’hanno dato una volta alla scala, colla lor furia di corrermi tutti alle calcagna. Benedetta gente, per non dirne altro! O non lo sanno il proverbio, che la gatta frettolosa fa i catellini ciechi? Facevano a rubarsi il posto, que’ scimuniti guasta mestieri; come se in questa nobile impresa con ci fosse stato tempo e luogo per tutti! —

Così, dopo aver provveduto alla sua vita, provvedeva il Sangonetto alla fama, dando egli stesso una soffiatina nella tromba di questa compiacente signora.

Nessuno, per altro, diè retta al nostro Tommaso, che altri pensieri occupavano la mente di Galeotto e di Giacomo Pico. Taciti e spediti rifecero la strada delle Magne e sul mattino seguente rimettevano il piede entro le mura del Finaro, dove il marchese tornò alle cure della difesa e Giacomo Pico a’ suoi disegni di vendetta.

Per intendere i quali, bisognerà risalire alla mattina del giorno addietro e proprio al momento in cui madonna Nicolosina, fortemente commossa di sdegno e di tristezza, usciva dalla torre dell’Alfiere.

— Va e ricorda quel che ti pare, di me; — Aveva borbottato Giacomo Pico, seguendola infino all’uscio; — va e racconta pure ogni cosa a tuo padre! —

E guatando quella superba che scendeva le scale così grave negli atti e padrona di sè, mentre egli non lo era stato e si sentiva vinto, umiliato da lei, un odio