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donna Bannina, festeggiavano tutti il giovine Carlo, il leggiadro cherubino di Osasco. La gran sala del castello era piena di tutti i gentiluomini che ufficio di guerra non trattenesse alle mura, e le nobili dame gustavano in quell’ora di geniale convegno un fugace riflesso dei loro trionfi cessati, degli ozi antichi e delle memori splendidezze dal castello Gavone.

A un tratto, con alto stupore di tutti, non escluso Tommaso Sangonetto, il quale, nella sua qualità d’ambasciatore posticcio, avea creduto di potersi imbrancare co’ grandi, comparve nella sala Giacomo Pico.

La faccia del Bardineto era scura, aggrondato il sopracciglio, il labbro chiuso, il portamento più contegnoso che l’occasione non dimandasse, o che a lui vassallo non fosse consentito lassù. Ma il suo pallore, che ricordava la pugna sostenuta e facea fede d’una lunga malattia, non lasciava por mente a cotesto, e gli occhi della nobile comitiva si volsero a lui, schiettamente amorevoli.

Primo, il marchese Galeotto lo salutò con un grido di lieta meraviglia, e, andatogli incontro, lo prese per mano, facendogli le più oneste accoglienze e congratulandosi seco lui del risanamento ottenuto. E il Bardineto ne tolse appiglio a soggiungere che troppo oramai era egli rimasto inoperoso e più di quello che veramente gli bisognasse; però, con licenza del marchese, avrebbe ripigliato il suo uffizio di soldato. Sapeva della partenza disegnata alla volta di Noli; laonde, non avea voluto lasciarsi sfuggire la buona occasione e domandava di entrare nel numero degli eletti, che stava per condurre il suo signore a quella impresa, così piena di rischi e di gloria.