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Il conte d’Osasco, dal canto suo, aveva ragione a reputarsi felice. E non sapeva tutto, ancora; non sapeva, verbigrazia, d’esser giunto dopo un altro e di averlo al primo lancio superato. Del resto si giunga prima, o poi, l’essenziale è di giungere in tempo. E Carlo di Cascherano, conte di Osasco, giungeva in tempo altresì per conquistarsi il cuore di Galeotto, a cui la sua venuta, dopo la lettera che lo liberava dalla parola data, doveva parer generosa oltre ogni dire.

Questi, che stava allora fuor del castello, a disporre la sua gente per l’impresa di Noli, com’ebbe udito delle venti lancie che erano venute al borgo per la strada di Cova, pensò che fossero un nuovo presente del re di Francia, o d’alcuno de’ suoi generi, che ne aveva parecchi, e in alto stato; tra gli altri Onorato Lascaris, signore di Ventimiglia e di Tenda, e Alberto Pio, principe di Carpi, allora in Torino a’ servigi del duca di Savoia. E per sincerarsi della cosa, tornò subitamente al castello, dove gli venne veduto il conte d’Osasco, un altro genero, sul quale egli non faceva assegnamento veruno.

L’ebbe per augurio felice, e si compiacque eziandio con paterna allegrezza del leggiadro aspetto del giovine, la cui bell’anima si dipingeva sul bellissimo volto.

Una gioia mite, ma profonda, regnava in tutta la corte del Finaro. I radi ma sicuri colpi della signora Ninetta non ottennero quel dì tutta l’attenzione che il nostro infaticabile Anselmo Campora poteva con giusto orgoglio ripromettersi. Barnaba Adorno, cogli altri fuorusciti del suo casato, e i signori del Carretto, tra i quali Giovanni, fratello a Galeotto, e ma-