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dir l’oste, a cui erano rivolte le ultime parole del Picchiasodo. — C’è pane e cacio, uova da farne una frittata in un batter d’occhio, e se vi piace, posso anche ammannirvi un pollo allo spiedo....

— Ottimo amico! Ostiere degno della mia stima e della mia pratica! — gridò con burlesco fervore quell’altro. — Portaci il pollo, la frittata, il cacio, il pane, tutto quello che hai! —

L’oste, serviziato per indole e giubilante per quella mattutina ventura, non se lo fece dire due volte, e, comandato al Maso che accompagnasse i due forastieri al pian di sopra, ov’era luogo più degno di loro, entrò difilato in cucina, per ammannire alla svelta tutto il meglio della credenza. La moglie si diede a pelare un pollo, ostia innocente, acciuffata in quel punto sull’aia e messa a morte senza processo; il figlio più grandicello a rattizzare il fuoco e disporre il menarrosto; un altro a raccattare nell’orto due talli d’indivia e due carciofi primaticci; egli a trar fuori dall’armadio il pane, il cacio, il vasellame e tutto l’altro che bisognasse. Volea fare le cose a modo, mastro Bernardo; dare in tavola i principii, servire per bene i suoi ospiti, che gli pareano persone d’assai.

— Per altro, diceva egli (e qui faceva capolino la natural diffidenza del campagnuolo), o come va che due cavalieri di quella fatta, avviati al Finaro, si fermino qua, all’insegna dell’Altino? Capisco che alla Marina non abbiano trovato il fatto loro; ma qui siamo a cento passi dal borgo, e, con quelle cavalcature vistose, in quattro salti erano a casa. —

Onesta considerazioni mastro Bernardo le faceva ad alta voce, in quella che spicciava le sue faccende. Il