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— Entrate, magnifici messeri! — gridò egli, cavandosi umilmente la berretta e mettendo inchini su inchini. — Maso, piglia i cavalli e conducili in istalla.
— No, non occorre: — disse il più giovine dei due viaggiatori, che in quel mezzo scendeva d’arcione.
— Metteteli soltanto al coperto; ci si ferma per poco.
— E se il tuo vino non è buono, si parte subito! — aggiunse quell’altro, che rispondeva al nome di Picchiasodo.
— Ah, per questo, — rispose l’oste con aria di sicurezza profonda, — non ho niente paura. Vedrete, messere, sentirete che vino! Non fo per dire, ma ci ho il meglio della vallata. Soltanto alla tavola del nostro magnifico Marchese si può bere il compagno.
— Vedremo.... confronteremo! — disse gravemente messer Picchiasodo.
Ed era per aggiunger dell’altro; ma il suo compagno gli diede un’occhiata, che ebbe il potere di arrestargli la parola tra i denti.
— Venga dunque il tuo vino! — ripigliò l’oratore interrotto. — E siccome io m’immagino che voi, messer Pietro, non vi disporrete a mandarlo giù così di buon mattino, senza un briciolo d’accompagnatura....
— No certo; — ribadì l’altro sollecito. — Non ci sei che tu, per ber vino ad ogni ora, come se fosse acqua di fonte.
— Ah, baie! Io e lui siamo amici vecchi, messere, e si sta come pane e cacio. A proposito di cacio, hai tu qualcosa da ungere il dente? Di’ su!
— Comandate, magnifici messeri! — fu pronto a