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un cavaliere, e giustamente; diffatti, sotto quella bionda e rosea parvenza di donna, egli c’era alcun che di virile; la lealtà, per esempio, e l’alterezza, spogliate di quella grazia languida, che la natura ha dato, insidia innocente, ma non meno pericolosa, alla più bella metà del genere umano.
Nata in altissimo stato, sentiva altamente di sè; superbia naturale e scusabile, che del resto non aveva pure occasione a mostrarsi, in mezzo ad un popolo di riverenti vassalli, i quali niente potevano vedere di strano in una dignità d’apparenze così celestiali e ammantata di tanta soavità, di tanta amorevolezza pietosa. Umana ed affabile, come sono così utilmente per sè e per altri i grandi della terra, quando si compiacciono d’esser tali, non c’era caso che la giovine castellana facesse patire anima nata, per alcuno di que’ capricci e fantasie di comando, che pure son tanto frequenti nelle giovani donne, male avvezzate, anche in condizioni più umili, da cieco amor di congiunti, o da libero ossequio di cavalieri cortesi.
La bellissima fanciulla entrò nella camera di Pico, senza timore, o peritanza di sorta. Non era ella in casa sua? Forse per la prima volta andava da sola in quel luogo; ma come nella accompagnatura non c’era stato mai un deliberato proposito, così nel giunger sola non ci poteva essere un’ombra di vergogna, o di dubbio.
Bensì Giacomo Pico, al vederla comparir tutta sola, si scosse. Il sangue turbato gli si ridusse con rapido moto al cuore, indi risospinto gli corse più veloce alle tempie. Ebbe allora come un bagliore negli occhi, diede in un grido di meraviglia, e, appoggiandosi forte ai bracciuoli della scranna, si alzò da sedere.