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che s’era allacciata al dito la gherminella di Giano Fregoso e stimò d’avere gran sorte, se poteva, con poco disagio suo, dare a quel cattivo pagatore una grande molestia. A pronta dimostrazione dell’animo suo verso il marchese Galeotto, mandò subito al Finaro un prode italiano, allora ai servigi di Francia, messer Giovanni Sanseverino, con venticinque lancie, ed altri aiuti promise. Que’ cavalli intanto dovevano essere la mano di Dio pel marchesato, che molti invero non avrebbe potuto nutrirne, o adoperarne in quelle strette sue gole, ma di un certo numero avea pure mestieri, per contrapporli ai cavalli nemici e sostenere all’uopo gli assalti dei fanti.
Ed ecco perchè Giacomo Pico non aveva più visto il Sangonetto, nè potuto sciogliere uno dei nodi che più gli stavano a cuore. Intanto i giorni passavano; la guerra, non pure era cominciata senza di lui, ma vigorosamente condotta fino alla resa di Castelfranco, senza che egli potesse ancora uscir fuori e nelle aspre fatiche del campo acquetare un tratto le acerbe battaglie del cuore.
Ben presto, dal vano della sua alta finestra, potè vedere co’ suoi occhi il nemico. Una bastita per tutto l’esercito genovese era innalzata da due giorni a Monticello, proprio alla vista del borgo, e due grosse bombarde v’erano collocate a difesa. Tre battifolli subito dopo erano edificati più avanti, l’uno sul poggio di Maria, l’altro nella vigna di Nicolò Giudice, il terzo all’Argentara, sul fianco stesso della terra assediata. Quest’ultimo, per altro, non fu costrutto dai Genovesi senza grande spargimento di sangue.
Dicevasi allora che tante fabbriche militari si fa-