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San Giorgio, come si vede, tirava innanzi a dormire.
La mattina vegnente, il Vecchio Calabrese co’ suoi duecento uomini andava in aiuto al Vecchia di Lodi, e ambedue, con impeto temerario, s’inoltravano fin sotto le mura del Borgo. Simili spacconate eran comuni in que’ tempi. La grande mobilità delle fanterie leggiere, e la nissuna delle nuove artiglierie, che sole avrebbero potuto tenere in rispetto gli audaci, consentivano di correre molto paese innanzi e indietro, senza fare e senza ricevere gran danno. Questo, come disse il poeta, «era il costume dei braveggiatori, che fan poche faccende e gran rumori.»
Senonchè, stavolta i braveggiatori s’erano spinti troppo sotto, e balestroni, e spingarde, e cerbottane (che anco di quest’armi da fuoco ne aveano qualcheduna al Finaro) mandarono un tale diluvio di roba assaettata sui malvenuti, che questi furono costretti a voltar le calcagna, e molti, anzi, non fecero a tempo.
Ma di queste e d’altre maggiori perdite d’uomini, poco importava al capitano generale. Con simili scascamuccie e affrontamenti quotidiani, egli teneva a bada il nemico, e, meglio ancora, lo aveva sempre sotto la mano; frattanto serrava i panni addosso a quelli altri che difendevano Castelfranco.
Nello spazio di otto giorni, la signora Ninetta e le due altre comari che le facevano compagnia, gittarono su quel povero baluardo la bellezza di cento sessantatre nespole. Per una bombarda, a que’ tempi, sei o sette colpi al giorno erano un bel trarre, e ne ho detto le ragioni più sopra. Le mura erano così profondamente scombussolate, che non poteano più reg-