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E questi non si fecero molto aspettare. Anselmo Campora (ho già detto che il cavalier servente della signora era lui in persona) levò una zeppa di legno di sotto alla gola della, bombarda, le abbassò il mento d’altrettanto spazio, le fece posar tra le labbra una di quelle giuggiole che ho detto di sopra, tolse l’uncino rovente dal braciere, l’accostò al focone, e tonfete, mandò il secondo saluto al castello. La palla imbroccò il parapetto e, rotolando giù dalla cortina, si trasse dietro una rovina di pietre. Un lembo di parapetto, colle sue caditoie, era spiccato dal sommo delle mura.

Intanto che questo accadeva sotto Castelfranco, il Vecchia da Lodi, co’ suoi cinquecento fanti e una ventina di cerbottane, portate dagli scoppiettieri in ispalla e munite d’un piede da porle in terra quando occorresse di trarre, s’inoltrò dalla Marina fino ai prati dell’Altino, che sono a mezza via tra il Borgo e la spiaggia del mare. I lettori hanno già pratica del luogo; io aggiungerò che il Picchiasodo, saputo del comando dato al suo compagno d’armi, gli aveva raccomandato di salutargli tanto e poi tanto un certo ostiere suo amico, e di farsi dare un fiaschetto di quella malvasia, che teneva in serbo, per gli uomini di conto.

Ohimè, povero mastro Bernardo, quantum mutatis ab illo! La frasca e l’insegna ce le aveva tuttavia sul portone; ma da parecchie settimane non vendeva più vino e l’accoglienza era triste. Gli ultimi fiaschi glieli avevano bevuti gli uomini del marchese, tornando dal combattimento alla Marina, e se egli non si era ritirato ancora nel Borgo, ciò doveva attri-