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sotto il nome generico di bombarda; e forse fu questa la sua forma più antica, che sottentrò ai màngani, ai trabocchi, alle briccole, ingegni di vecchio stampo, che tutti traevano, come il mortaio, in arcata.

La difficoltà di maneggiare queste armi, il tempo soverchio che si spendeva a caricarle, ed anche in parte il pericolo che c’era a trattare la polvere, furon cagione che l’uso di que’ graziosi ordigni per lunga pezza stentasse a volgarizzarsi e che per quasi tutto il secolo XV l’arte della guerra non n’avesse mutamenti essenziali. In molti luoghi i trabocchi e le briccole durarono a fronte delle spingarde e dei falconetti. Genova, ad esempio, non ebbe bombarde fin dopo la guerra di Chioggia. Il Giustiniani lo nota espressamente in due luoghi, accennando la moltitudine delle bombarde veneziane «ritrovate di nuovo per questo tempo (1379)» e, aggiungendo più sotto, «l’uso delle quali non avevano ancora i Genovesi.»

Tre di questi ingegni poderosi furono adunque tirati avanti, per comando del capitano generale, e il buon mastro dei bombardieri li fece collocare di fronte al castello. Altri ne furono piantati lì presso, ma di minor mole, detti cerbottane e falconi, e la mattina del 10 di gennaio incominciò la serenata, come il Picchiasodo la chiamava, in quel suo stile faceto che i miei lettori conoscono.

Dominava il concerto la signora Ninetta, che ad ogni colpo gettava un sasso di cinquecento libbre. Il suo primo saluto andò a dirittura a cascare dentro il castello, come impromessa di altri, non meno aggiustati ed efficaci, che dovevano uscire dalla sua bocca d’oro.