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piacergli di molto, poichè egli ci stava ancora la mattina vegnente; anzi ci avea messo casa. Il principio d’uno steccato appariva in quel luogo; il fosso era scavato in giro e il cavaticcio ammontato a rincalzo dei pali, minacciosamente aguzzi e appuntati all’ingiù. Quello era stato il lavoro di tutta la notte, e certamente messer Pietro ci aveva fatto vegliare la metà dell’esercito. Di torri non c’era ancor segno in quel luogo; chè sarebbero state opere inutili. Il palazzo di Gandolfo Ruffini, murato in quella vigna, era parso la man di Dio al prudente capitano, che n’avea fatto il mastio della sua nuova difesa. Una strada coperta, tutta irta di punte, metteva dal battifolle improvvisato fino alla bastita del poggio di Castiglione.
I difensori di Castelfranco incominciarono a capire il disegno di messer Pietro. Voleva esser sicuro del fatto suo, il capitano genovese, e dar battaglia colle spalle al coperto. E quanta riserva di pali faceva portar tuttavia da lunghe file di bagaglioni! Ormai ce n’erano tanti accatastati là dentro, da farne, non che una doppia, o tripla stecconata, una selva.
Così passò la giornata del 15; i Genovesi lavorando senza posa a rafforzare il battifolle e portando sempre nuovo legname; i Finarini aspettando un assalto da alcune compagnie di fanti, che proteggendo i lavori dei manovali, accennavano di avvicinarsi a Castelfranco. Erano giunti a due balestrate dalle mura, nel luogo detto di San Fruttuoso, poco stante dalla spiaggia del mare; ma non s’inoltravano di più.
— Che diavol fanno? — si chiedevano i difensori di Castelfranco l’un l’altro. — Oramai, il battifolle di Vigna Donna è diventato una legnaia.