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Nomi diversi, secondo i tempi e le fogge del loro armamento, avevano i fanti. Portavano giaco e cervelliera di ferro, spada e mazza, oppure una picca di smisurata lunghezza. Dicevansi tavolaccini e palvesarii i balestrieri che combattevano al riparo d’un tavolaccio, o d’un palvese, scudi alti quanto la persona e terminati in punta, che si conficcavano in terra. Le balestre (chi nol sa?) erano aste di legno, cui s’adattavano archi di ferro; le maggiori avevano un piede, di guisa che il balestriere non durava altra fatica che di tenderle, appuntarle e scoccarle; altre, più grandi, e dette balestroni, o spingarde, specialmente adoperate nella difesa, o nell’assedio delle fortezze, si montavano la mercè d’una girella e scagliavano tre verrettoni, e all’occorrenza anco pietre.

L’argomentò mi tirerebbe a parlare eziandio delle macchine; ma il troppo stroppia e fo punto. Tra fanti e cavalli, bombardieri, artefici e bagaglioni, erano forse quindicimila sotto i comandi del Fregoso, all’impresa del Finaro. Pochi erano i cavalieri in paragone degli altri; ma i luoghi montuosi e ristretti in cui era portata la guerra, non richiedevano gran nerbo di gente a cavallo. Del resto, in aiuto alle lancie, militavano con messer Pietro molti nobili genovesi, e tra essi quasi tutti i giovani della casata Fregosa.

Le prime bandiere giunsero in vista del Finaro il giorno che era stato indicato, cioè a dire il 5 del mese di dicembre. Le vedette collocate dal marchese al passo delle Magne, si ritrassero a Verzi e di là fino al Calvisio, per dare avviso dell’approssimarsi del nemico. Galeotto aspettava il Fregoso al passo di Val Pia, per sbarattare le prime compagnie che si fos-