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da ultimo, stava in aspetto quando, per certa piccola paga, il principe, o comune che fosse, teneva impegnata a suo pro’ la compagnia del condottiero, per ogni caso di guerra.
A tal gente aveva fatto capo il Doge di Genova, per rafforzare l’esercito d’un buon nerbo di cavalli e di fanti. E sotto il comando di messer Pietro Fregoso erano venuti in condotta per tutto il tempo che avesse a durare la guerra, Firmiano Migliorati con dugento fanti, Francesco Bolognese con quattrocento, Vecchia da Lodi con cinquecento, Santino da Riva, lombardo egli pure, con altri cinquecento, Bombarda di Nè con trecento, Giovanni di Trezzo con trecento del pari e Pietro Visconte con dugento cinquanta. Cinquecento ne aveva Bartolomeo da Modena; dugento per ciascheduno Giovanni da Cuma, Soncino Corso e Carlo del Maino; trecento Cipriano Corso, duecento Antonello da Montefalco ed altrettanti il Vecchio Calabrese; cento il Giovine Calabrese, cento Battista di Rezzo, come Carlino Barbo, Bertone Maraviglia e Bertoncino il Poccio, da ultimo, ne aveva cinquecento egli solo.
Parecchi portavano anche condotta di lancie. Cinquanta ne comandava Firmiano Migliorati; venticinque Santino da Riva; dieci per ciascheduno Bartolomeo da Modena e Giovanni da Cuma; venticinque Beltramino da Riva.
E qui bisognerà fermarsi un tratto per dire che cosa fossero le lancie. Parlo pei meno intendenti di queste astruserie militari, che pure ricorrono tanto frequenti nelle storie italiane anteriori alla prevalenza dei cannoni e degli schioppi maneschi.
Nella cavalleria, più che nei fanti, era a que’ tempi