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tizia del loro arrivo al marchese, erano fatti scender di sella per riposarsi in una sala terrena, dove si diè loro acqua alle mani e rinfresco. Accettarono l’acqua e l’aiuto dei famigli, per scuoter di dosso la polvere, ricusando tutto l’altro che venia loro profferte; e immagini il lettore con quanto sacrifizio e merito di Anselmo Campora, che non avrebbe sgradito di paragonare la cantina del marchese con quella di mastro Bernardo.

Poco stante, apparve sull’uscio un donzello a disse loro:

— Venite, messeri; il magnifico marchese è pronto a ricevervi. —

Lo seguirono tosto, e, fatta una breve scala, furono introdotti in un ampio salone, che appariva situato nel mezzo del castello, poichè prendeva luce da una parte e dall’altra, pel vano di larghe ed alte finestre, partite a colonnini e chiuse da intelaiature di legno e vetri sigillati col piombo, a mo’ di losanghe, come portava la foggia del tempo. Una numerosa e orrevol brigata era accolta colà; molti servitori e donzelli sui lati; nel mezzo un crocchio di gentiluomini; seduto a uno scrittoio il vecchio cancelliere della corte; tutti, poi, ordinati in guisa da far corona ad un seggio rilevato, su cui stava, nobilmente composto, il marchese del Finaro. Gentildonne non erano in quella adunanza; che bene il marchese aveva inteso non doversi quel giorno ricevere ospiti d’allegrezza, sibbene messaggieri di guerra.

Era in quel tempo il marchese Galeotto un uomo di piacevole aspetto, d’anni intorno ai cinquanta, ma di sembianza più giovane, la mercè d’una carnagione