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— Ah, l’albero! — rispose il vecchio ridendo. — Sì, c’era, in casa; ma il giorno che non diede più frutto, mano alla scure, e ziffe! Ho bruciato l’albero, signor conte, e mi son rifatto modestamente dal ceppo.
— Ella è molto ricco, da quanto mi ha detto Arrigo; — notò il conte Morati. — È un’altra bella cosa. Io, per dirle la verità, vado allegramente in rovina. —
E sedette, il vecchio Ganimede, facendosi una spagnoletta.
— Diamine! — pensò Cesare Gonzaga. — Debbo io tirar fuori il portafogli, o tenerlo ben chiuso in tasca?
— Ma intendiamoci, — proseguiva il conte, scherzando con le parole come le sua dita scherzavano con la carta velina, — adagino, senza fretta. Non ho figli, nè conto di averne per ora. E mi verrà forse il desiderio, più tardi? Io già non li amo, i ragazzi. Quando sarò più avanti con gli anni, chi lo sa? Basta, mio caro Valenti, — soggiunse il conte, accostando la spagnoletta alla fiamma della candela, che Arrigo gli aveva premurosa-