Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 32 — |
— Ah! mi duole davvero! — esclamò Arrigo, levando i suoi begli occhi al cielo. — Mi duole nel profondo dell’anima. Oggi è un cattivo giorno, per gli affari. Non ne ho. —
Orazio Ceprani aveva chinato la testa, con un gesto tra incredulo e rassegnato. Perchè, infine, non poteva credere che ad Arrigo Valenti mancassero cinquemila lire da render servizio a un amico in un cattivo quarto d’ora, e non poteva neanche, per le buone creanze, aver l’aria di non crederlo.
Per altro, se Orazio Ceprani aveva chinata la testa, l’aveva in sua vece rizzata il signor Cesare Gonzaga.
— Ma le ho io! — diss’egli, entrando terzo nella conversazione, e facendo dare un balzo di maraviglia ai due giovani. — Non si sa mai, ho detto tra me e me, nel partire da Reggio. Anzi, vedi, Arrigo mio, è stata questa la ragione vera per cui ho ritardato un giorno a venire. Tu mi perdonerai, Arrigo; — soggiunse, mentre metteva mano al suo portafoglio, gonfio di biglietti di Banca e sprovveduto di biglietti di visita; — credevo di