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senza avevano fatto intorno a lui, andasse a rinchiudersi, rovina d’uomo, tra i monti del Reggiano, daccanto alla rovina di un antico castello della contessa Matilde. Da tre mesi era il Gonzaga in Italia, da due spartiva il suo tempo tra Reggio e la tenuta delle Carpinete, dove il freddo era rigido e dove bisognava portare quasi tutto il necessario per allogarsi decentemente, allorquando giunse la lettera di Arrigo. Era in singolar modo affettuosa, chiedeva notizie, accennava al desiderio, che quel povero giovanotto, rimasto solo della sua casa, aveva vivissimo nel cuore di vedere il fratello di sua madre; e non pure accennava al desiderio, ma all’urgente bisogno.

Il figlio di Cecilia scriveva; e Cesare Gonzaga, a mala pena collocato nella sua tenuta, dove faceva conto di morire tra le sue memorie e con gli occhi alla santa natura, amica e consolatrice di chi ha molto sofferto, Cesare Gonzaga, dico, si era spiccato dal suo nido per andare dal nipote, vincendo la ripugnanza che lo teneva lontano da Roma,