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Cesare Gonzaga non gli lasciò il tempo di finir la frase.

— Nella vita degl’individui, come in quella dei popoli; ho capito, va in fondo.

— Mi ero avvezzato così bene a lei!

— Davvero! Ed io che volevo per l’appunto invitarti a venire con me!

— Dice da senno?

— Non ischerzo mai. Ne avevo anzi già parlato a mio nipote. Tu sei un giovanotto d’ingegno, Happy, e sai molte cose, molte cose! Il tuo posto è di segretario; ma non al fianco del cavaliere, intendiamoci bene, perchè egli non ha più segreti da confidare, nè da lasciar trapelare. Verrai con me; parleremo di storia antica, di numismatica, e se ti piace, anche di araldica.

— E si lascierà chiamare marchese?

— Se ciò ti consola, sì. Del resto, avrai anche da tacere su parecchie coserelle vedute ed udite. Io ti dirò come Filippo II al suo Gomez, o al suo Perez, che non rammento più bene, tanto si somigliano fra loro: — A me la fama — A te, se taci, salverai.... la pen-