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Si scosse, ritornando nelle sue camere, non volendo pensarci più a lungo, e rimettendo a quella sera la spiegazione dell’enimma che gli aveva proposto la Sfinge. Del resto, Arrigo ritornava in quel punto, e per allora ci doveva esser altro da fare.
— Ne capisci niente, zio? — incominciò Arrigo, appena giunto alla presenza del Gonzaga.
— Di che?
— Di ciò che è avvenuto or ora al caffè di Venezia. Leggi qua. —
E gli diede così dicendo una carta. Era il processo verbale compilato e sottoscritto da quattro padrini. I considerandi ritenuti necessari dal Gonzaga c’erano tutti, nell’ordine logico e naturale voluto da lui.
— Che è stato? — disse il Gonzaga, dopo aver letto e riletto il verbale, e levando gli occhi a guardare il nipote.
— Che i nostri avversari hanno riconosciuto tutto ciò che a noi è piaciuto di far riconoscere. Dico noi, ma è più giusto di dire Orazio Ceprani. Il processo verbale è scritto di suo pugno, come ti dimostrerà la sua firma.