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— Contessa, la supplico; — disse il Gonzaga, costringendola con atti amorevoli a sedersi, poichè la vedeva così fieramente turbata e convulsa; — pensi che troppo male è accaduto; pensi che io ho fatto quanto era umanamente possibile per iscongiurare un grande pericolo; pensi che, se io non ero, se perdevo anch’io la testa come tutti gli altri, ella sarebbe stata scoperta, e una famiglia rispettata e rispettabile sarebbe divenuta la favola di tutta Roma; pensi infine.... Lo so, è difficile; — soggiunse egli, notando gli atti di diniego della donna esacerbata; — ma bisogna vincersi, perdio, bisogna sforzar la mente a pensare, a considerar le cose, e tanto più attentamente, quanto più sono gravi. Ciò che oggi le sembra un gran male, un male irrimediabile, un mal da morire, è forse un bene, la liberazione, la salvezza.
— Oh, non dubiti, non ne morrò; — non voglio morirne! — rispose la contessa. — Ben altro mi resta da fare. Ma ella sappia, signor Gonzaga.... Questo matrimonio è impossibile; è una follìa, a cui bisogna rinunziare.